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SI CHIAMANO MOTORI A SCOPPIO O BRUCIATORI A SCOPPIO ?
di MareaSistemi






Solitamente capita che vengano inventati dei nomi per mascherare tecnologie altamente dannose alla salute e all'ambiente, al fine di farle apparire  innoque e ambientalmente sostenibili.

Un esempio classico sono gli inceneritori; quando si pronuncia questa parola viene in mente fumo nero e moltissima cenere e scorie inquinanti da smaltire e spesso si accomuna la parola inceneritore al cancro.

Se invece si cambia nome da inceneritore a termovalorizzatore (che e' la stessa cosa), magari una persona poco intelligente e intuitiva crede che sia una super tecnologia "VERDE" dei nostri tempi completamente pulita.

La stessa cosa e' per la benzina; il benzene e' una delle peggiori cause dell' inquinamento del nostro pianeta, pero' si chiama "benzina verde". Se lo Stato fosse coerente, metterebbe una scritta nera in ogni pompa come quella per le sigarette.....


MI FUMO L'INCENERITORE DI GIUSEPPE MAZZONE











Il motore a scoppio e' una stufa con le ruote





Dopo questo piccolo cappello introduttivo parliamo dei motori a scoppio delle auto moderne. Anche qui si puo' utilizzare la stessa analogia.

Ma secondo voi se un motore alimentato a derivati del petrolio, che disperde piu' del 70% in calore e dallo "scarto" della combustione produce energia cinetica (movimento), a piu' senso chiamarlo motore a scoppio o bruciatore a scoppio ?

Per esempio, un motore elettrico che e' veramente degno del nome "MOTORE", in cui l' 80-90% dell'energia elettrica viene trasformata in movimento e il restante 20% in calore senza emissioni di gas, al contrario dei bruciatori a scoppio delle auto moderne che molta gente compra e si vanta pure di aver preso una grossa cilindrata.

Se invece parliamo di bruciatori a scoppio della fine del 1700 (detti impropriamente motori), se aggiungete una centralina elettronica e migliorate i materiali arrivate a oggi,  sempre con gli stessi rendimenti del 1700.







Un motore, degno della parola motore non inquina, i bruciatori a scoppio delle automobili sono causa di cambiamenti climatici e 10.000 morti in Italia all'anno........e anche dell'arrichimento dei potenti che ci contrallano con il potere e il controllo delle risorse energetiche.

Riflettete, non chiamate piu' il motore della vostra macchina MOTORE A SCOPPIO, ma BRUCIATORE A SCOPPIO e se volete aggiungete anche la parola INQUINANTE che a onor del vero e' la piu' appropriata.



la candela e' rappresentata dall' umo primitivo che cerca di accendere il fuoco

L'uomo primitivo per rappresentare l'obsolescenza del motore a scoppio, inventato agli inizi del 1800. Ancora utilizzato dopo 200 anni per mantenere in vita interessi economici e potere.



Bisognerebbe cambiare la parola anche nei vocabolari da MOTORE A SCOPPIO A BRUCIATORE A SCOPPIO, visto che il rendimento maggiore lo vede il radiatore che provvede a dissipare i nostri soldi in calore e inquinamento.

In conclusione il bruciatore a scoppio non e' nient' altro che un convertitore denaro/calore  che con lo scarto produce del movimento, e per quella stessa energia si producono gas che da quasi 300 anni stanno distruggendo il nostro pianeta..

Se invece, consideriamo anche le risorse utilizzate per estrarre il petrolio, il rendimento energetico del motore a scoppio va in negativo, mentre va in positivo solo il guadagno dei potenti e qualche bricciola lasciata per chi lavora per l'indotto petrolifero (i soliti 1000 euro al mese).


Un nostro collaboratore ha aggiunto : per essere coerenti con l'attuale tecnologia dei motori a scoppio, bisognerebbe comunicare con i segnali di fumo e non con i mezzi che abbiamo a disposizione internet, telefonini ecc [F.B].

....................RIFLETTETE............................MOTORI O BRUCIATORI......................







QUESTA E' LA COMPOSIZIONE DELL'ARIA CHE RESPIRANO I VOSTRI BAMBINI
GRAZIE AI "MOTORI" A SCOPPIO.


Bisognerebbe mettere sul cofano di ogni automobile la stessa scritta del pacchetto delle sigarette, NUOCE GRAVEMENTE ALLA TUA SALUTE E A QUELLA DEL TUO BAMBINO.


fonte: http://www.arpa.piemonte.it/approfondimenti/temi-ambientali/aria/aria/cartella-qualita-inquinanti/pagina-qualita-inquinanti

MONOSSIDO DI CARBONIO (CO)

Il monossido di carbonio (CO) fra gli inquinanti gassosi è il più abbondante in atmosfera. È un gas inodore e incolore ed è generato durante la combustione di materiali organici quando la quantità di ossigeno a disposizione è insufficiente. La principale sorgente di CO è rappresentata dal traffico veicolare. La concentrazione di CO emessa dagli scarichi dei veicoli è strettamente connessa alle condizioni di funzionamento del motore: si registrano concentrazioni più elevate con motore al minimo e in fase di decelerazione, condizioni tipiche di traffico urbano intenso e rallentato.

Il CO è misurato mediante il metodo dell’assorbimento di Radiazioni Infrarosse (IR) che si basa sull'assorbimento, da parte delle molecole di CO, delle radiazioni IR la cui variazione dell’intensità è proporzionale alla concentrazione del gas. L'unità di misura utilizzata per esprimere la concentrazione di Monossido di Carbonio è il milligrammo al metro cubo (mg/m3).

Il CO ha la proprietà di fissarsi all'emoglobina del sangue, impedendo il normale trasporto dell'ossigeno. Gli organi più colpiti sono il sistema nervoso centrale e il sistema cardio-vascolare, soprattutto nelle persone affette da cardiopatie. Concentrazioni elevatissime di CO possono anche condurre alla morte per asfissia mentre le concentrazioni abitualmente rilevabili nell'atmosfera urbana producono effetti sulla salute che sono reversibili e sicuramente meno acuti. Il CO ha avuto, negli ultimi trent'anni, un nettissimo calo delle concentrazioni rilevate in atmosfera grazie al progressivo miglioramento della tecnologia dei motori dei veicoli.

 

BIOSSIDO DI ZOLFO (SO2)

È un gas incolore, di odore pungente, prodotto dell'ossidazione dello zolfo. Le principali emissioni di biossido di zolfo derivano dai processi di combustione che utilizzano combustibili fossili (gasolio, olio combustibile, carbone), in cui lo zolfo è presente come impurità, e dai processi metallurgici. Una percentuale molto bassa di SO2 proviene dal traffico veicolare, in particolare dai veicoli con motore diesel. La concentrazione di SO2 presenta una variazione stagionale molto evidente, con i valori massimi nella stagione invernale, laddove sono in funzione impianti di riscaldamento domestici, alimentati con combustibili solidi o liquidi.

Il biossido di zolfo è misurato con un metodo a fluorescenza. L'aria da analizzare è immessa nello strumento in un’apposita camera nella quale sono inviate radiazioni UV a 230-190 nm. Queste radiazioni eccitano le molecole di SO2 presenti, che stabilizzandosi emettono delle radiazioni nello spettro del visibile, misurate con apposito rilevatore. L'intensità luminosa misurata è funzione della concentrazione di SO2 presente nell'aria. L'unità di misura con la quale si misura la concentrazione di biossido di zolfo è il microgrammo al metro cubo (µg/m3)

Il biossido di zolfo a concentrazioni elevate è molto irritante per gli occhi, la gola e le vie respiratorie anche in presenza di nebbia nella quale è facilmente solubile.

Nell’atmosfera, a seguito di reazioni con l'ossigeno e le molecole d'acqua, il SO2 può partecipare alla formazione del particolato secondario o al fenomeno delle cosiddette "piogge acide": precipitazioni con una componente acida significativa, responsabili di danni a coperture boschive e a monumenti, con effetti tossici sui vegetali e di acidificazione dei corpi idrici, in particolare quelli a debole ricambio, con conseguente compromissione della vita acquatica.

Il biossido di zolfo era ritenuto, fino a circa 25 anni fa, uno dei principali inquinanti dell'aria mentre oggi il progressivo miglioramento della qualità dei combustibili (minor contenuto di zolfo nei prodotti di raffineria) e il sempre più diffuso uso del gas metano hanno diminuito nettamente la sua presenza in atmosfera.

 

OZONO (O3)

L'ozono è un gas altamente reattivo, dotato di un elevato potere ossidante, di odore pungente e, ad elevate concentrazioni, assume un colore blu. E’ presente nella stratosfera ad un’altezza compresa fra i 30 e i 50 chilometri dal suolo e la sua presenza protegge la superficie terrestre dalle dannose radiazioni ultraviolette emesse dal sole. La riduzione della usuale concentrazione di questo composto in determinate aree della stratosfera è chiamata generalmente "buco dell'ozono".

L’ozono presente invece nella parte di atmosfera più prossima alla superficie terrestre (troposfera) è un componente dello "smog fotochimico", particolarmente rilevante nei mesi estivi in concomitanza di un intenso irraggiamento solare e di un'elevata temperatura. L'ozono è un inquinante di natura secondaria, ovvero non è direttamente generato da attività antropiche e si forma in atmosfera a seguito di un ciclo di complesse reazioni fotochimiche che coinvolgono in particolare gli ossidi di azoto e alcuni tra i composti organici volatili (COV) che per tale motivo sono denominati precursori.

L'ozono è misurato con un metodo basato sull'assorbimento caratteristico, da parte delle molecole di O3, di radiazioni ultraviolette (UV) ad una lunghezza d'onda di 254 nm. La variazione dell'intensità luminosa è direttamente correlata alla concentrazione di O3 ed è misurata da un apposito rilevatore. L'unità di misura con la quale sono misurate le concentrazioni di ozono è il microgrammo al metro cubo (µg/m3).

Concentrazioni relativamente basse di O3 provocano già effetti quali irritazioni alla gola e alle vie respiratorie e bruciore agli occhi; concentrazioni superiori possono portare alterazioni delle funzioni respiratorie e aumento della frequenza degli attacchi asmatici. L'ozono è responsabile anche di danni alla vegetazione e alla produzione agricola.

Negli ultimi anni la concentrazione di O3 è rimasta sostanzialmente costante o in leggera diminuzione. Tale tendenza alla stazionarietà è dovuta principalmente alla stabilità delle concentrazioni degli Ossidi di Azoto presenti in atmosfera che rappresentano, come visto, il precursore principale dell’Ozono e che non hanno mostrato forti diminuzioni.

Le oscillazioni delle concentrazioni di Ozono sono legate alla variabilità delle condizioni meteorologiche. È necessario dunque affrontare il "problema" Ozono alla radice, cercando di sviluppare azioni ed interventi strutturali, che abbiano come obiettivo principale la riduzione delle emissioni degli Ossidi di Azoto e che, nel breve periodo, siano mirate ad informare la popolazione sui rischi legati all’inquinamento da Ozono ed a promuovere comportamenti che ne limitino gli effetti.

 

OSSIDI DI AZOTO (NOx)

Gli ossidi di azoto (NO, N2O, NO2 e altri) sono generati dai processi di combustione, qualunque sia il combustibile utilizzato. Il biossido di azoto (NO2) si presenta a concentrazioni molto elevate come un gas di colore rosso-bruno e dall'odore forte e pungente. Si può ritenere uno degli inquinanti atmosferici più pericolosi, sia per la sua natura irritante sia perché in condizioni di forte irraggiamento solare provoca reazioni fotochimiche secondarie che creano altre sostanze inquinanti (smog fotochimico). I gas di scarico degli autoveicoli contribuiscono pesantemente all'inquinamento da ossidi di azoto e la quantità delle emissioni dipende dalle caratteristiche del motore e dalla modalità del suo utilizzo (velocità, accelerazione, ecc.): la produzione di NOx, infatti, aumenta quando il motore lavora ad elevato numero di giri (come arterie urbane a scorrimento veloce, autostrade, ecc.). Le concentrazioni misurate risultano ancora più critiche durante la stagione invernale, perché aumentano le sorgenti di emissioni, come gli impianti di riscaldamento, e perché diminuisce la capacità dell’atmosfera di disperdere gli inquinanti. Si generano così episodi di ristagno atmosferico e conseguente accumulo dell’inquinante, con valori di concentrazione che superano il limite di legge. Per la determinazione degli ossidi di azoto si utilizza un metodo a chemiluminescenza. Il metodo si basa sulla reazione chimica tra il monossido di azoto e l'ozono, prodotto nello strumento di misura, in grado di produrre una luminescenza caratteristica, di intensità proporzionale alla concentrazione di NO. Per misurare il biossido è necessario ridurlo a monossido tramite un convertitore al molibdeno. L'unità di misura con la quale si esprime la concentrazione di biossido di azoto è il microgrammo al metro cubo (µg/m3).

Si tratta di gas tossici irritanti per le mucose e responsabili di specifiche patologie a carico dell'apparato respiratorio (bronchiti, allergie, irritazioni). Tra gli effetti ambientali è da annoverare il contributo degli ossidi di azoto sia alla formazione del particolato secondario sia al fenomeno delle piogge acide, causa di possibile alterazione degli equilibri ecologici ambientali. L'introduzione delle marmitte catalitiche non ha ridotto in maniera incisiva la concentrazione di NO2, Bisogna ricordare infatti che il biossido di azoto è un inquinante piuttosto complesso e in parte di natura secondaria e questi aspetti rendono la riduzione delle sue concentrazioni piuttosto difficile, anche se nel corso degli ultimi anni si conferma un quadro di lieve miglioramento verosimilmente dovuto alle misure di risanamento adottate come ad esempio l’incremento delle abitazioni urbane servite dal teleriscaldamento.

 

BENZENE (C6H6)

Il benzene (C6H6) è un idrocarburo aromatico incolore, liquido e infiammabile. Il benzene presente in atmosfera è prodotto dall’attività umana, in particolare dall'uso del petrolio, degli oli minerali e dei loro derivati. Una rilevante fonte diffusa di esposizione per la popolazione è rappresentata dai gas di scarico degli autoveicoli, in particolare di quelli alimentati a benzina.

Le misure sono effettuate mediante un sistema gascromatografico in continuo, dotato di rivelatore a fotoionizzazione. L'unità di misura con la quale si misura la concentrazione di benzene è il microgrammo al metro cubo (µg/m3).

È stato accertato che il benzene è una sostanza cancerogena per l'uomo. Con esposizione a concentrazioni elevate, si osservano danni acuti al midollo osseo. Una esposizione cronica professionale può causare leucemia (casi di questo genere sono stati riscontrati in lavoratori dell'industria manifatturiera, dell'industria della gomma e dell'industria petrolifera). Negli ultimi anni si è avuto un progressivo e netto calo delle concentrazioni misurate in atmosfera. Tale risultato è frutto di pesanti limitazioni al suo uso come solvente, di una minore presenza nella benzina nonché dall’adozione delle marmitte catalitiche.

 

PARTICOLATO SOSPESO (PM10) e (PM2.5)

Il particolato sospeso è costituito dall'insieme di tutto il materiale non gassoso in sospensione nell'aria. La natura delle particelle è molto varia: composti organici o inorganici di origine antropica, materiale organico proveniente da vegetali (pollini e frammenti di piante), materiale inorganico prodotto da agenti naturali (vento e pioggia), dall'erosione del suolo o da manufatti (frazioni più grossolane) ecc.. Nelle aree urbane il materiale particolato può avere origine da lavorazioni industriali (fonderie, cementifici, inceneritori ecc.), dagli impianti di riscaldamento, dall'usura dell'asfalto, degli pneumatici, dei freni e dalle emissioni di scarico degli autoveicoli, in particolare quelli con motore diesel.

Il PM10 inoltre costituisce il principale veicolo di diffusione di composti tossici e può essere trasportato anche a rilevanti distanze. In aggiunta il PM10 ha una componente secondaria, che si forma direttamente in atmosfera a partire da altri inquinanti gassosi già presenti, come ad esempio gli ossidi di azoto e il biossido di zolfo, che può arrivare a costituire anche il 60-80% del PM10 totale misurato.

Il rischio sanitario legato ai composti presenti nelle particelle sospese nell'aria dipende, oltre che dalla loro concentrazione, anche dalle dimensioni delle particelle stesse. Le particelle di dimensioni inferiori costituiscono un pericolo maggiore per la salute umana, in quanto possono penetrare in profondità nell'apparato respiratorio. In prima approssimazione:

• le particelle con diametro aerodinamico superiore ai 10 µm si fermano nelle prime vie respiratorie;

• le particelle con diametro aerodinamico tra i 2,5 e i 10 µm (anche chiamate frazione “coarse”) raggiungono la trachea ed i bronchi;

• le particelle con diametro aerodinamico inferiore ai 2,5 µm (anche chiamate frazione “fine”) raggiungono gli alveoli polmonari.

Il PM10 e il PM2.5 sono misurati, se si utilizza il metodo semiautomatico di riferimento normativo, mediante campionamento su filtro in condizioni ambiente e successiva determinazione gravimetrica (vale a dire per pesata) delle polveri filtrate. L’impattore inerziale, contenuto nella testa di prelievo dell’apparecchiatura, ha una particolare geometria definita in modo tale che sul filtro arrivino, e siano trattenute, solo le particelle con diametro aerodinamico inferiore o uguale a 10 µm o a 2,5 µm.

Gli studi epidemiologici hanno mostrato una correlazione tra le concentrazioni di polveri in aria e la manifestazione di malattie croniche o di effetti acuti alle vie respiratorie: in particolare asma, bronchiti, enfisemi e anche danni al sistema cardiocircolatorio. A livello di effetti indiretti, il particolato agisce da veicolo per sostanze ad elevata tossicità, quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici.

La situazione di questo inquinante conferma negli anni una generale diminuzione dei valori misurati. Ciò comunque non riduce la preoccupazione per la criticità che resta significativa nelle zone maggiormente urbanizzate dove si verificano numerosi superamenti soprattutto del limite giornaliero di 50 µg/m³. In particolar modo la componente secondaria di questo inquinante rappresenta un “fondo” su cui risulta difficile incidere significativamente.


IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI

Si ritrovano nell'atmosfera come residui di combustioni incomplete derivanti da sistemi di generazione di energia che utilizzano combustibili solidi, tra i quali le biomasse rappresentano una sorgente significativa, o liquidi, da emissioni degli autoveicoli nonché da impianti industriali ecc. Sono per la massima parte veicolati da particelle carboniose emesse dalle stesse fonti. L'emissione di IPA nell'ambiente risulta molto variabile a seconda del tipo di impianto, del tipo di combustibile e della qualità della combustione. La presenza di questi composti nei gas di scarico degli autoveicoli è dovuta sia alla frazione presente come tale nel carburante sia alla frazione che ha origine per pirosintesi durante il processo di combustione.

La frazione fine del particolato (PM10) contenuta in un volume noto di aria è raccolta su membrana in fibra di vetro o di quarzo; tale membrana è sottoposta ad estrazione con opportuno solvente e nell’estratto i singoli composti degli IPA sono quantificati mediante tecnica gascromatografica.

Un numero considerevole di Idrocarburi Policiclici Aromatici presentano attività cancerogena. L'andamento delle concentrazioni in aria ambiente rileva una forte dipendenza stagionale e una situazione peggiore nelle stazioni non urbane rispetto a quelle urbane a causa del contributo ascrivibile all’uso del legno come combustibile. L'andamento nel corso degli ultimi anni rileva comunque un miglioramento.



METALLI

I metalli presenti nel particolato atmosferico hanno origine da una molteplice varietà di sorgenti: ad esempio il cadmio e lo zinco sono in generale originati prevalentemente da fonti industriali, il rame e il nichel dai processi di combustione. Il ferro proviene dall'erosione dei suoli, dall'utilizzo di combustibili fossili, dalla produzione di leghe ferrose ecc.

La frazione fine del particolato (PM10) campionato su filtri in fibra di quarzo è sottoposta a mineralizzazione mediante soluzione acida ossidante e sulla soluzione ottenuta si determina la concentrazione dei metalli mediante tecnica ICP-MS.

Tra i metalli che sono oggetto di monitoraggio, quelli a maggiore rilevanza sotto il profilo tossicologico sono il nichel, il cadmio, l’arsenico e il piombo. I composti del nichel e del cadmio sono classificati dalla Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro come cancerogeni per l'uomo. Per il piombo è stato evidenziato un ampio spettro di effetti tossici, in quanto tale sostanza interferisce con numerosi sistemi enzimatici. Tutti questi metalli sono presenti in concentrazioni molto basse e in particolare il piombo, a partire dagli anni ’70, ha evidenziato una notevolissima riduzione.

 

MERCURIO ELEMENTARE GASSOSO

Il mercurio in atmosfera, presente prevalentemente in forma gassosa come mercurio elementare (Hg°) ed in misura minore come composti inorganici o organici, vi è emesso a seguito sia di attività antropiche sia di fenomeni naturali.

Il mercurio elementare gassoso è un elemento tossico nei confronti della salute umana e dell’ambiente e la sua misura in atmosfera, nella rete piemontese di monitoraggio, viene effettuata nella stazione di Beinasco - Aldo Mei con la tecnica spettroscopica di assorbimento atomico ad effetto Zeeman.

Il mercurio è fortemente tossico e l'introduzione nell'organismo può avvenire sia per ingestione, sia per inalazione dei vapori, sia per semplice contatto cutaneo.

L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel documento “Air Quality Guidelines for Europe – seconda edizione” stima comunque che l’esposizione a mercurio legata all’aria ambiente sia inferiore di ordini di grandezza a quella originata dall’uso di questo metallo negli amalgami dentali.

Il mercurio ha anche rilievo come contaminante di terreni in seguito a fenomeni di deposizioni atmosferiche. Dati di letteratura indicano che il cosiddetto “mercurio reattivo” (vale a dire specie di mercurio idrosolubili con pressione di vapore sufficientemente elevata per esistere in fase gassosa, principalmente HgCl2) ha maggiore importanza come potenziale contaminante locale del suolo rispetto al mercurio elementare, in quanto ha un tempo medio di permanenza nell’atmosfera inferiore. Va sottolineato che il mercurio accumulato nei suoli può venire progressivamente rilasciato nelle acque superficiali per lunghi periodi di tempo. Una volta entrato nell’ambiente acquatico, il mercurio inorganico è trasformato in metilmercurio, la forma più tossica e biodisponibile per gli organismi viventi, che può originare significativi rischi in relazione al consumo di pesce a scopo alimentare.

La normativa comunitaria e nazionale non indica valori limite o valori obiettivo né in aria ambiente né nelle deposizioni. OMS ha proposto per la media annuale il valore di 1000 ng/m3 come linea guida per il mercurio inorganico in aria ambiente.







Abbiamo trovato in rete un'articolo che ci e' piaciuto molto, abbiamo il piacere di condividerlo con Voi:

(31.08.2013) FONTE DELL' ARTICOLO:






LINK INTERNET :


http://www.technologyreview.it/

Ecco come Tesla sta guidando l’innovazione delle auto elettriche

Se credete alla Tesla, automobili elettriche economiche e con un’elevata autonomia potrebbero essere più vicine del previsto.

di Kevin Bullis

Strada panoramica:
L’immagine ritrae una Model S mentre sfreccia lungo la costa.








































Ho recentemente provato una delle lussuose Model S della Tesla e visitato i suoi laboratori di Ricerca e Sviluppo, dove sta sviluppando la tecnologia delle sue batterie e delle stazioni di ricarica. L’esperienza mi ha portato a credere che la Tesla abbia un importante vantaggio sui suoi competitori nella corsa al mercato di massa delle automobili elettriche.

La Model S della Tesla è cara con un prezzo di listino che oscilla tra i 70,000 e gli oltre 100,000 dollari, ma ha un’autonomia di 265 miglia, più di tre volte quella della Nissan Leaf (che si ferma dopo 75 miglia). Entro un paio di anni, la Tesla spera di produrre modelli molto più abbordabili – incluso uno con un costo compreso tra i 30,000 e i 35,000 dollari – con un’autonomia simile a quella della Model S.
L’azienda vuole anche rendere le vetture elettrice più pratiche realizzando una rete nazionale di stazioni di ricarica con cui garantire 200 miglia di autonomia in appena mezz’ora – rispetto alle diverse ore necessarie per ricaricare le automobili elettriche presso una normale stazione.

Per la prova guida, avevo pianificato un viaggio dal quartier generale di Palo Alto, in California, fino a San Franciso, e poi verso la Half Moon Bay per un giro lungo la Strada Panoramica 1 fino a Santa Cruz. In seguito, sarei risalito a nord fino a Fremont per un tour di una fabbrica della Tesla prima di riportare l’auto al quartier generale – l’intero viaggio sarebbe durato all’incirca 230 miglia.

Quando sono arrivato a Palo Alto per ritirare l’auto, però, ho scoperto che qualcuno si era dimenticato di connetterla la sera precedente. L’indicatore della batteria indicava 208 miglia di autonomia – poco sotto l’autonomia da carica. Potevo intraprendere comunque il mio viaggio, ma una sosta presso una stazione di ricarica rapida sarebbe stata obbligatoria.

Le attuali vetture elettriche promettono diversi vantaggi su quelle a benzina. Per i pendolari, non occorreranno soste alle stazioni di rifornimento – sarà sufficiente potersi allacciare a una presa elettrica a casa o in ufficio – e un pieno costa appena un paio di dollari. I motori elettrici poi, richiedendo una sola marcia per tutte le velocità, sono anche notevolmente reattivi e potenti. Oltretutto, le auto elettriche non bruciano benzina e non emettono agenti inquinanti Persino quando si prendono in considerazione le emissioni e l’inquinamento derivate dalle centrali elettriche che producono l’energia che alimenta le vetture, e dagli impianti di produzione e smantellamento, le auto elettriche producono intorno al 40 percento in meno di anidride carbonica e ozono rispetto alle automobili convenzionali.

Nonostante tutte queste qualità, le automobili elettriche sono ancora perseguitate da due fattori opprimenti: il costo elevato e la scarsa qualità delle batterie.

E’ qui’ che la Tesla spera di fare la differenza. Le batterie e la tecnologia di carica innovative della Tesla le hanno garantito una posizione notevolmente avvantaggiata in termini di economicità delle batterie e di rapidità di ricarica, per cui l’azienda sta riuscendo ad abbattere i costi più in fretta rispetto ai suoi competitori.

Intorno alle 10 del mattino, sono uscito dal parcheggio della Tesla, assaporando l’accelerazione della Model S – con un passaggio da 0 a 50km/h in 1.7 secondi. Nel corso della giornata, ho effettuato con grande agilità diversi sorpassi lungo strade tortuose e in salita, e bruciato in accelerazione altre automobili ai semafori.




Misuratore del carburante: Il cruscotto della Model S mostra posizione attuale, carica rimanente e consumo energetico nel tempo. La parte più a destra del grafico, colorata in verde, mostra i risultati della frenata rigenerativa.





Ho provato una certa ansia quando ho notato che l’autonomia della batteria era scesa a 67 miglia. L’auto aveva stimato che sarei arrivato alla più vicina stazione di ricarica, a Gilory, con un’autonomia rimanente di 20 miglia – circa la metà di quanto avevo calcolato io. Non mi sarei preoccupato se avessi saputo di potermi fidare delle previsioni ma, come con qualunque altra automobile elettrica, l’autonomia reale varia in base allo stile di guida, alla strada e al traffico.
La Model S mostra due diverse stime di autonomia: una che cala gradualmente, come un indicatore della benzina, e un’altra che mostra in che maniera il vostro stile di guida negli ultimi minuti va a influire sull’autonomia dell’auto. Così, ho abbassato il climatizzatore, ridotto la luminosità dell’immenso schermo touch-screen da 17 pollici, e sollevato leggermente il piede sull’acceleratore per conservare un po’ di carica, e sono arrivato alla stazione di ricarica con un’autonomia di 17 miglia.

Come si può intuire da questo breve video che ho girato in quell’occasione, la ricarica è stata più semplice di quanto avessi immaginato, avendo trascorso un intero pomeriggio una volta a caricare una Chevrolet Volt presso una normale stazione di ricarica per ricavarne appena 30 miglia di autonomia.
Questa volta, l’auto ha riconosciuto una targhetta RFID nella maniglia del caricatore ed ha aperto automaticamente lo sportellino della presa. Nel tempo che era trascorso attraversando il parcheggio per andare ad acquistare un cheeseburger e poi ritornare all’auto, l’autonomia era già salita a 92 miglia, abbastanza da finire il giro che avevo previsto per la giornata. Ho chattato con il proprietario di una Model S per un po’ e sono quindi ripartito. Ho riportato l’automobile quella sera con un’autonomia di 129 miglia – più di una carica piena delle automobili elettriche prodotte da Toyota, Nissan, Ford, GM, Honda, Fiat, Renault, Mitsubishi, Smart o Scion, o delle imminenti automobili elettriche di Mercedes e BMW.

A prescindere dai progressi avvincenti, restano le stesse sfide che affliggono le altre automobili elettriche: costo e autonomia. Siccome i super-caricatori non si trovano dietro ogni angolo (al momento ne esistono appena 16 in tutto il paese), se si dimentica di ricaricare l’auto durante la notte, si verifica un blackout o qualche altro problema, si rischia di rimanere a piedi. Se mi fossi trovato pressoché in un qualunque altro punto del paese, se avessi deciso di spostarmi a nord anziché a sud o mi fossi perso lungo la Highway 1, mi sarei ritrovato sul bordo della strada con l’auto scarica.

Il problema della ricarica è prevalentemente una questione di infrastruttura. Il più grande problema tecnologico resta però il costo delle batterie. E’ il costo a limitare la portata della Model S, e lascia questa vettura elettrica da 265 miglia di autonomia in mano a pochi facoltosi clienti.

Il giorno prima della mia guida, ho visitato il laboratorio per la Ricerca e Sviluppo della Tesla situato tra i colli dell’Università di Stanford. Il CTO dell’azienda, JB Straubel, mi ha mostrato versioni della Roadster – la prima vettura prodotta dalla Tesla – e della Model S, alle quali era stato rimosso tutto, eccetto il telaio, le ruote e il sistema elettrico di propulsione (che include batteria, motore ed elettronica di controllo). Ho potuto così vedere quanta strada l’azienda aveva fatto. Nella Roadster, le batterie ingombranti occupa tutto il retro dell’auto, mentre nella Model S, motore e batteria sembrano svanite. Pur contenendo una maggiore carica, la batteria è comunque più compatta; si tratta ora di una tavola piatta che posa irriconoscibile tra le ruote e fa parte del telaio della vettura.
Ancora più irriconoscibile è il costo della batteria per kilowatt-ora, che è dimezzato rispetto a quello della batteria montata sulla roadster.

Straubel mi ha elencato la varietà di celle – le parti che, di fatto, accumulano l’energia – che l’azienda sta testando per le sue batterie agli ioni di litio. Tra queste, sono incluse file di piccole celle cilindriche delle dimensioni di pile alcaline – il genere che la Tesla utilizza per la Model S.


Imballaggio delle batterie: Il blocco batterie della Model S è piatto e fa parte del telaio che sostiene l’auto – la cassa metallica fornisce il supporto strutturale.













La scelta della Tesla a favore di queste piccole batterie agli ioni di litio è, probabilmente, una delle sue più importanti scommesse strategiche. Le case automobilistiche affermate hanno preferito celle più grandi – semplificano la progettazione di un blocco batteria, perché ne serve un numero inferiore. Le celle più grandi però, contenendo più energia, sono anche più pericolose. Le case automobilistiche usano quindi materiali con una densità energetica inferiore che tendono pero a essere meno infiammabili. Cercando di compensare la densità energetica inferiore, le aziende hanno scelto celle piatte perché possono essere compattate meglio, senza considerare però la crescita nel costo di produzione.

Scegliendo celle cilindriche più piccole, la Tesla ha risparmiato sui costi di produzione – il costo di ciascuna cella è stato ridotto grazie alle economie di scala dell’industria dei computer portatili, per i quali queste celle erano state originariamente sviluppate. La Tesla ha potuto inoltre utilizzare i materiali con la maggiore densità energetica disponibile, in parte perché le celle più piccole sono intrinsecamente meno pericolose.
Una migliore densità energetica riduce il costo dei materiali. Questo approccio ha portato la Tesla a sviluppare un sistema per collegare tra loro migliaia di celle separate, anziché centinaia come nelle celle più grandi. Straubel ha anche inventato il sistema di raffreddamento liquido che si districa attraverso le celle e rimuove il calore tanto rapidamente da isolare eventuali problemi a una singola cella e impedire che si propaghino a quelle adiacenti.

La scelta di celle più piccole e cilindriche ha anche conferito alla Tesla una maggiore flessibilità nel packaging delle celle. In una collisione, celle grandi e piatte si deformeranno e prenderanno facilmente fuoco, per cui le altre case costruttrici hanno dovuto trovare posti, all’interno delle loro vetture, in cui le batterie sarebbero state lontane dai tamponamenti. Questo ha significato dover sacrificare dello spazio destinato a passeggeri o bagagli. Tesla, dal canto suo, ha superato i crash test senza che le sue celle subissero deformazioni o che il liquido di raffreddamento fuoriuscisse.

Stando alle stime principali, la batteria della Model S dovrebbe costare intorno ai 42,500 e i 55,250 dollari, pari a metà del costo della vettura. Straubel mi ha però detto che il cosso è già molto inferiore. “Costano ben al di sotto della metà, a dire il vero”, ha detto. “Meno di un quarto, nella maggior parte dei casi”. Straubel mi ha detto che si puo ancora fare molto per ridurre ulteriormente il costo delle batterie. Sta lavorando con fornitori di celle e materiali per incrementare ulteriormente la densità energetica delle batterie, e sta cambiando la forma delle celle in maniera da semplificarne la produzione.

Altre case automobilistiche stanno prendendo nota. Dan Akerson, CEO della GM, avrebbe creato una task force per studiare la Tesla.
Brett Smith, co-direttore alla produzione, progettazione e tecnologia del Center for Automotive Research di Ann-Arbor, dice che la Tesla “è passata dall’essere il pargoletto dei media a qualcosa che sta facendo riflettere seriamente le persone all’interno dell’industria automobilistica”.

Dopo aver fatto il “pieno” alla stazione di ricarica rapida di Gilroy, ho corso lungo l’autostrada che mi avrebbe riportato a San Francisco, sollevato all’idea di essere stato abbastanza vicino a quella stazione. Muovendomi senza sforzo nel traffico, non ho potuto fare a meno di pensare che le automobili elettriche sono il futuro, e che i progressi della Tesla nel campo delle batterie e della ricarica rapida potrebbero far arrivare questo futuro prima del previsto.

(MO)
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