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Il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum è stato uno sversamento massiccio di petrolio
nelle acque del Golfo del Messico in seguito a un incidente riguardante il Pozzo Macondo, posto a oltre 1.500 m di profondità.
Lo sversamento è iniziato il 20 aprile 2010 ed è terminato 106 giorni più tardi, il 4 agosto 2010,
con milioni di barili di petrolio che ancora galleggiano sulle acque di fronte a Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida,
oltre alla frazione più pesante del petrolio che ha formato ammassi chilometrici sul fondale marino.
È il disastro ambientale più grave della storia americana, avendo superato di oltre dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez nel 1989.
Pertanto, spesso ci si riferisce a questo disastro con l'espressione "Marea nera".
La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera, dal valore di circa 560 milioni di dollari, di proprietà dell'azienda svizzera Transocean,
la più grande compagnia del mondo nel settore delle perforazioni off-shore; affittata alla multinazionale British Petroleum per 496.000 dollari al giorno.
Estraeva circa 9000 barili di petrolio al giorno, era grande quanto 2 campi da calcio e si trovava a circa 80 km dalla Louisiana,
nel Golfo del Messico, e poteva ospitare circa 130 persone.
Il 2 settembre 2009 la Deepwater Horizon ha trivellato il pozzo di idrocarburi più profondo al mondo, lungo 10 685 metri di cui 1259 di acqua,
nel giacimento di Tiber, sempre nel Golfo del Messico.
La trivella della Deepwater Horizon era una delle più grandi al mondo, lunga 121 metri per 78 metri di larghezza,
poteva operare in acque profonde fino a 2400 metri e scavare pozzi profondi fino a 9100 metri.















Il disastro ambientale

Il 20 aprile 2010, mentre la trivella della Deepwater Horizon stava completando il Pozzo Macondo su un fondale profondo 400 metri al largo della Louisiana,
un'esplosione sulla piattaforma ha innescato un violentissimo incendio; 11 persone sono morte all'istante, incenerite dalle fiamme,
mentre 17 lavoratori sono rimasti feriti.
In seguito all'incendio la flotta della BP ha tentato invano di spegnere le fiamme, oltre a recuperare i superstiti.
Nei giorni successivi all'esplosione della piattaforma il contrammiraglio di Guardia Costiera Mary Landry intervistato dall'ABC escludeva un'emergenza
ambientale significativa.
Due giorni dopo la piattaforma Deepwater Horizon si è rovesciata, affondando e depositandosi sul fondale profondo 400 metri a circa mezzo chilometro più a
nord-ovest del pozzo.
Le valvole di sicurezza presenti all'imboccatura del pozzo sul fondale marino non hanno funzionato correttamente e il petrolio greggio,
spinto dalla pressione del giacimento petrolifero ha iniziato a uscire senza controllo, in parte risalendo in superficie per via della minor densità rispetto all'acqua.
Il 7 maggio 2010 la BP ha poi tentato col progetto Top Kill di arginare la falla utilizzando una cupola di cemento e acciaio dal peso di 100 tonnellate,
ma la perdita non si è arrestata ed il tentativo di ridurre il danno è fallito.
In attesa di trovare una strategia risolutiva la BP ha poi approntato il progetto Lower Marine Riser Package (LMRP), con la posa in opera di un imbuto convogliatore
sospeso sopra al pozzo e collegato a una nave cisterna in superficie, volto a recuperare almeno in parte il petrolio che fuoriusciva senza controllo dal pozzo
sul fondo del mare.
In contemporanea la BP iniziava a trivellare due pozzi sussidiari in previsione di riuscire a giungere per fine agosto 2010 al condotto del pozzo che perdeva,
intercettandolo in profondità, per cementarlo definitivamente.
Il 10 luglio 2010 - quando ormai l'entità della perdita era stimata da un minimo dai 35 000 ai 60 000 barili (tra i 5 e 10 milioni di litri) di idrocarburi al giorno, di cui solo la metà riusciva in qualche modo ad essere recuperata  veniva effettuato un secondo tentativo con un nuovo tappo per ridurre drasticamente la perdita di petrolio, e l'obiettivo di fermare interamente le perdite entro una decina di giorni, non cessando comunque di lavorare anche a quella che viene considerata dalla BP essere la soluzione definitiva del problema: ossia la trivellazione dei due pozzi collaterali di emergenza.
Dopo 86 giorni dall'inizio dello sversamento di petrolio, il 15 luglio 2010 la BP dichiarava di essere riuscita a tappare la perdita del greggio, per la prima volta dal 20 aprile, giorno dell'esplosione, pur non essendo ancora sicura di quanto tempo avrebbe potuto resistere quest'ultima soluzione. Secondo le stime della BP stessa erano già stati riversati in mare, al 15 luglio, tra i 3 e i 5 milioni di barili di petrolio, ovvero tra i 506 e gli 868 milioni di litri (che, convertiti con un fattore di 0,920 che rappresenta in media il peso specifico del greggio, fanno 460.000-800.000 tonnellate).
Dopo 100 giorni dall'inizio delle perdite  e a due settimane dal nuovo tappo che chiude il pozzo in attesa di una soluzione definitiva - presumibilmente grazie alla tempesta tropicale che si è abbattuta sulla zona per più giorni, la macchia di petrolio che prima galleggiava sull'acqua è praticamente scomparsa. Rimane visibile solo il catrame spiaggiato sulle coste. Quanto manca - a eccezione di quanto aspirato nelle operazioni di pulizia (circa 800.000 barili - corrispondenti a 127 milioni di litri) o date alle fiamme in incendi controllati  si presume sia in parte evaporato, in parte dissolto (sono stati impiegati 7 milioni di litri di solventi rovesciati sulla macchia nera nelle prime settimane dell'emergenza), in parte digerito dai batteri; ma si ipotizza che la maggior parte sia finita sul fondale marino formando laghi di petrolio destinato a solidificarsi. Un terzo delle acque degli stati USA che si affacciano sul Golfo del Messico sono state chiuse, la pesca sta morendo e il turismo registra la chiusura del 20% delle spiagge.
Il 3 agosto 2010 inizia l'operazione Static Kill, con la quale la BP si propone di tappare definitivamente il pozzo mediante un'iniezione di fango e cemento attraverso i pozzi sussidiari, così da deviare il greggio in un bacino sicuro posto a 4 km di profondità.
Il 19 settembre 2010 viene terminata la cementificazione definitiva del pozzo.






Conseguenze sulla salute umana

Il disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon avrà nel breve e medio periodo effetti sulla popolazione locale in termini di
intensificazione di malattie respiratorie e patologie della pelle (follicoliti cutanee) e, nel lungo periodo,
gravi effetti in termini di aumento statistico dell'incidenza di tumori.
Gli effetti nel lungo periodo comprendono anche aumenti statistici degli aborti spontanei, neonati di basso peso alla nascita o pretermine.
Il petrolio e le sostanze chimiche disperdenti rilasciate sul luogo del disastro contamineranno la popolazione locale nel breve e medio termine per via inalatoria;
nel lungo termine per via orale, come conseguenza dell'accumulo degli idrocarburi nella catena alimentare.

Conseguenze ambientali su fauna e flora

Le prime specie animali vittime del disastro sono state quelle di dimensioni più piccole e alla base della catena alimentare, come ad esempio il plancton.
Sono seguite le specie di dimensioni via via maggiori che sono state contaminate direttamente (dagli idrocarburi e dalle sostanze chimiche dispersanti)
oppure indirettamente (per essersi alimentate di animali contaminati).
Fra le specie coinvolte: numerose specie di pesci, tartarughe marine, squali, delfini e capodogli, tonni, granchi e gamberi, ostriche, menhaden,
varie specie di uccelli delle rive, molte specie di uccelli migratori, pellicani.
Gli agenti disperdenti (fra i quali il prodotto commercializzato come corexit), cioè le sostanze chimiche utilizzate per disperdere gli idrocarburi in
parti più piccole e per farli precipitare sul fondale del mare hanno consentito di nascondere la marea nera della superficie;
tuttavia tali sostanze non hanno ridotto la quantità di greggio ma l'hanno solo nascosta alla vista, ad oltre 1600 metri di profondità,
dove continua ad esercitare i suoi effetti nefasti sulla catena alimentare a tutti i livelli, uomo compreso.
Di grande importanza anche i timori che si concentrano sulle specie già a rischio per le quali l'estinzione potrebbe essere accelerata.


FONTE WIKIPEDIA


Per vedere altri contenuti riguardanti il disastro petrolifero all'interno di MAREASISTEMI sisitate anche:
http://www.mareasistemi.com/ARCHIVIO/RIVISTA%206%20MareaSistemi%202010.pdf




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